«Tutti coloro che ripongono la loro speranza in Dio mettono le loro mani fragili nella sua mano forte e potente;
si lasciano sollevare e partono per un cammino.
Insieme a Gesù risorto, diventano pellegrini di speranza,
testimoni della vittoria dell’amore…»

(Papa Francesco, 20 aprile 2025)

Ieri ho avuto la fortuna di recarmi a Casa Santa Marta per visitare il corpo di Papa Francesco e trascorrere alcuni momenti in silenziosa preghiera.
Sono stata profondamente colpita dalla semplicità della bara di legno. Dal volto sereno. Dall’enormità di ciò che un solo uomo può realizzare quando vive ciò che predica con incrollabile convinzione.

Mentre mi trovavo alla presenza di quest’uomo straordinario, che ho avuto la grazia di incontrare due volte durante la sua vita terrena, non potevo fare a meno di riflettere sulla forza della testimonianza che ci ha lasciato.

Un uomo che ha portato un grande peso sulle spalle, eppure ha servito con semplicità e grazia.

Un uomo capace di stare in mezzo ai potenti della terra quanto agli ultimi e dimenticati.

Un uomo che ha pagato il prezzo dell’essere diverso, pur rimanendo sempre in silenzio di fronte alle critiche.

Un uomo che ha pregato incessantemente per la pace.

Un uomo che ha avuto una fiducia straordinaria in Dio, anche nei momenti più bui.

Un uomo che ha predicato un Vangelo di inclusione, dove la Chiesa diventa casa per tutti.

Un uomo che ci ha ricordato di non essere stato scelto per giudicare nessuno e di come non dovremmo farlo nemmeno noi.

Un uomo che ha aiutato tante persone a credere di nuovo nella Chiesa, una Chiesa fondata sul Vangelo.

Un uomo che ci ha insegnato che la vera Santità non consiste nell’essere perfetti, ma nell’essere presenti là dove si trovano le persone.

Un uomo che chiedeva costantemente preghiere per sé.

Quell’uomo che, all’inizio del suo Papato aveva chiesto scarpe semplici, riposa ora in una semplice bara di legno.

Papa Francesco ha spalancato senza remore la porta del suo cuore e, con essa, quella della Chiesa che ha guidato per essere diversa.
Ha scosso sistemi e confortato gli emarginati.
Ha parlato con coraggio di giustizia, ha abbracciato i disabili, accolto i migranti, accogliendo nella  sua mensa per i senzatetto.
Non si è limitato a parlare di misericordia — l’ha incarnata.
Ha aiutato la Chiesa a riscoprire la propria identità più autentica: essere un luogo dove gli ultimi diventano i primi e i dimenticati vengono finalmente visti.

Sì, nella vita come nella morte, non ha mai avuto paura di essere diverso, anche quando questo gli è costato caro.

Sono ancora profondamente colpita dal modo in cui Papa Francesco è morto. Pensare che solo poche settimane fa era stato dimesso dall’ospedale, dove più volte era stato vicino alla morte.
Il Giovedì Santo ha voluto, come da tradizione, visitare detenuti di un carcere romano.
La domenica successiva ha fatto la sua ultima apparizione in Piazza San Pietro, sollevando le mani tremanti per salutare il popolo, e le sue ultime parole alla folla sono state un augurio di Buona Pasqua.

Forse, in quelle ultime apparizioni pubbliche nei suoi ultimi giorni, voleva ricordarci ciò che davvero conta. I poveri, la necessità di vivere con semplicità e umiltà, chiunque noi siamo, e il messaggio di speranza nel Cristo Risorto.

Ora che preghiamo per il successore di Papa Francesco, e forse pregare non basta.
Se vogliamo davvero onorare la sua memoria, ora più che mai tocca a noi assumerci la responsabilità personale di portare avanti le lezioni che ci ha lasciato.

Affinché, per molto tempo ancora dopo questi giorni di lutto e ricordi, la sua passione per i poveri, il suo cuore misericordioso e la sua incrollabile testimonianza della gioia del Vangelo possano continuare a vivere in noi.