Madre Lucia Serafini, Canossiana nativa di Schio che ha avuto la grazia di conoscere Madre Bakhita, condivide con noi un prezioso e affettuoso ricordo della “Santa Moretta” che, con la sua santità semplice e dolce, ha toccato i cuori di chiunque ha incontrato in vita e tuttora continua a ispirare e confortare chiunque le si appelli.
Schio, 25 ottobre 2025
Mi sono stupita quando mi è stato chiesto di scrivere un articoletto in occasione del 25° anniversario della canonizzazione di Bakhita, poi ho pensato: sono davvero un cimelio! Quante saranno le persone ancora in vita che l’hanno conosciuta? Io ho avuto quella fortuna, quell’onore… E ricordo la gioia di quel primo ottobre 2000, in piazza San Pietro, quando ci sorrideva dalla facciata della Basilica lei, così umile, innalzata a tanta gloria.
Sono nata a Schio e abitavo vicino all’Istituto Canossiano di via Fusinato. Era tempo di guerra: passavano gli aerei minacciosi, suonava l’allarme; se non si arrivava al rifugio, ci si metteva sotto l’apertura di un muro maestro, con un’immagine del Sacro Cuore appesa alla parete, e si pregava, e si aspettava, si scambiava qualche parola e giungeva un motivo di speranza: “Abbiamo qui vicino M. Moretta e ci salverà”, si diceva.
Sì, M. Moretta: quello era il nomignolo che affettuosamente le era stato dato; era l’unica persona di colore a quei tempi e godeva già di gran fama di santità.
Le Madri allora non solo seguivano con amore un centinaio di bambine e ragazze orfane, tenevano un educandato di circa quaranta studenti e il lavoro di rammendo e di tessitura affidato dal lanificio Rossi, ma si dedicavano anche all’animazione della liturgia e al catechismo. La domenica circa cinquecento parrocchiane affollavano i cortili per le adunanze di Azione Cattolica, catechismo, oratorio con giochi e teatro: le femminucce dalle Madri e i maschietti dai Salesiani.
Nelle aule non c’era spazio per tutte e la mia classe di catechismo di prima elementare si radunava nel coro della chiesa. Ma quando entravamo in punta di piedi, volgevamo tutte lo sguardo su M. Bakhita, che stava in preghiera, posizionata in fondo, sotto alla finestra: allora già non camminava più, era in carrozzella. Noi dovevamo silenziosamente sfilare a prendere posto sui banchi, e una Madre ci intratteneva con i racconti del Vangelo (in prima non avevamo il catechismo), sotto lo sguardo di Gesù presente nel tabernacolo e di una Santa che soffriva e offriva, forse anche per noi.
Finita l’ora, prima di uscire, tutte in fila, avevamo il premio di baciare la medaglia della nostra Madre Moretta. Se ci penso: che privilegio, tutte le domeniche!
Quando appresi della sua morte rimasi molto colpita: nella mia mente di bambina non era ancora entrata l’idea che si potesse morire. Ma, se la vita continua, è dolce ricordare come il primo passaggio che ho visto è stato quello di una Santa. Tutta Schio si mobilitò per renderle l’ultimo saluto.
La mia mamma ci infagottò per bene perché faceva molto freddo, prese anche la piccolina di due mesi e ci recammo dalle Madri. Ricordo come fosse ieri la camera ardente allestita dove attualmente c’è il passaggio dalla chiesa allo spazio dove si vendono gli oggetti e i libri: la bara era dritta a quella porta e c’era tanta gente che pregava e la toccava per farsi poi il segno della croce.
Non ricordo più se fosse una Madre che tagliava dei pezzetti di vestito per darli come reliquia o se qualcuno avesse preso l’iniziativa; anche noi ne abbiamo avuto uno che la mamma conservava gelosamente e che, alla sua morte, ci siamo divise: io lo conservo ancora.
Ma ciò che stupiva tutti era la flessibilità delle membra di Bakhita: era stata paralizzata, eppure aveva le braccia e le mani flessibilissime; le infilavano gli anelli e le facevano stringere delle penne tra le mani.
La Madre che era lì presente ci ha messo la mano della Santa sulla testa e ci ha benedette; per questo, quando ad una ad una ci siamo fatte Canossiane, si diceva che fosse stata Bakhita ad attirarci con la sua benedizione.
Ho assistito anche al suo funerale: un vero trionfo, perché i primi erano già al cimitero e gli ultimi ancora in partenza. Era davvero amata da tutti e già ritenuta degna degli altari.
Ricordo che non si poteva renderle culto perché ciò avrebbe ritardato il processo, e così la sua camera fu abitata da M. Anna Dalla Costa e poi tenuta a disposizione di qualche Madre di passaggio; anch’io ho avuto il privilegio di dormirvi tre notti, ed ero molto emozionata.
Son già passati venticinque anni dalla sua canonizzazione, e la sua santità ha fatto breccia in tutto il mondo. Bakhita parla di speranza: Dio non abbandona nessuno dei suoi figli. Bakhita parla di umiltà: chi si umilia sarà esaltato. Bakhita è maestra di perdono: se sapessimo perdonare e amare, ci sarebbe la pace nel mondo.
Grazie, M. Moretta, per il tuo esempio di santità: di speciale non hai fatto nulla, ma in modo speciale ti sei innamorata di Dio, hai amato, hai servito, hai perdonato. Grazie, Bakhita, intercedi per noi!