In un’alba incandescente, con i colli romani ancora avvolti dalla penombra stagliati sullo sfondo della notte calante, il pullman dei partecipanti al Congresso Internazionale dei Laici Canossiani lascia la Casa Generale di Ottavia. La destinazione è doppia: Schio e Verona. Il cuore è pieno di gratitudine per la settimana appena vissuta, e l’atmosfera è carica di gioia fraterna. Le preghiere si alternano ai sorrisi, i canti nascono spontanei, i volti si specchiano in nuove e vecchie amicizie cementate dai valori canossiani.

Schio: incontro con Bakhita

A Schio, le Madri della comunità accolgono il gruppo con calore, amore e semplicità. È l’amore di Maddalena che si fa gesto concreto in un banchetto di benvenuto con frutta fresca, bevande e caffè. Cose semplici, e buone, che risuonano di un benvenuto moltiplicato in un caleidoscopio di lingue. I pellegrini, divisi in piccoli gruppi, si dirigono verso il Santuario di Bakhita. Là, tra quelle mura cariche di storia e preghiera, si rivive la testimonianza di una donna che attraversa la sofferenza per abbracciare la libertà dello spirito. La sua vita, raccontata e testimoniata nel museo a lei dedicato, parla, commuove, scuote. La Santa Messa, celebrata da Padre Francesco Vercellone e Padre Augusto Oliveira, diventa un momento di intensa comunione. Il volto di Bakhita è vivo tra i suoi presenti mentre la sia vita diventa un messaggio di speranza per la missione canossiana e, in generale, per le storie personali di ognuno dei presenti.

Verona: nel cuore delle origini

Il viaggio prosegue verso Verona, la Casa Madre, dove tutto è cominciato. Il gruppo entra in punta di piedi nell’antico convento donato a Maddalena da Napoleone, respirando la storia delle Madri Canossiane. Prima tappa, la Cappella che custodisce il corpo di Santa Maddalena, su cui gli sguardi si posano con devozione ed emozione. C’è chi si commuove, chi si inginocchia in raccoglimento e chi scatta foto di ricordo da portare dall’altra parte del mondo. Il carisma canossiano parla ancora oggi, forte e chiaro. La visita prosegue nel cuore del convento, nella stanza dove Maddalena è vissuta e dove, inginocchiata in preghiera, ha terminato i suoi giorni terreni. Una stanza piccola e modesta, che stride con le nobili origini, lo sfarzo di Palazzo Canossa e racconta una scelta di vita vissuta con coerenza. La serata si conclude con una cena comunitaria e un tour notturno della città organizzato dall’Associazione Fratelli e Sorelle Canossiani. Verona si mostra nella sua bellezza antica, in un’atmosfera che unisce storia, arte e spiritualità: dall’a dimensione suggestiva  di Castel Vecchio, con le sue feritoie affacciate sull’Adige, all’Arena illuminata e in piena attività.

Tra bellezza e gratitudine

Il giorno successivo, i partecipanti visitano Palazzo Canossa e la Cappella dedicata alla fondatrice, uno spazio creato con amore dall’Associazione Fratelli e Sorelle Canossiani. L’accoglienza è fraterna, sentita, vera. Le Madri, i Padri e i laici si muovono insieme, accompagnati dai Fratelli e le Sorelle, che custodiscono la memoria e rinnovano la missione. Il pranzo presso la casa generalizia veronese è un altro momento di condivisione, che culmina nella Messa solenne, celebrata dal Padre Generale Carlo Bittante insieme a tutti i padri canossiani riuniti per l’occasione. In un clima multiculturale, dove il rituale cristiano canonico è alternato alle danze dei laici canossiani indiani, ai canti dei laici e delle madri canossiane africane, si ringrazia per il cammino fatto, si accolgono i nuovi membri dell’équipe internazionale, si fa dono a ciascun partecipante, in segno di appartenenza e benedizione.  Il pellegrinaggio si conclude con la visita alla Basilica di San Zeno, gioiello romanico del Mille, che invita alla contemplazione e alla lode.

Roma nel cuore, la missione tra le mani

Nel tardo pomeriggio il pullman riparte, ma Roma ora è solo una tappa del ritorno. Il vero viaggio continua nei cuori: Schio e Verona hanno lasciato un’impronta profonda. Questo pellegrinaggio non è solo un itinerario fisico, ma un’esperienza spirituale che rinnova la vocazione laicale canossiana. I volti, le parole, i luoghi, i silenzi: tutto si fa memoria viva. E da oggi, quella memoria diventa missione, nelle mani e nei gesti di chi ha camminato sulle orme di Maddalena e Bakhita.

📍 Palazzo Canossa – Verona
Maestoso ed elegante, Palazzo Canossa sorge nel cuore di Verona e rappresenta uno dei più importanti esempi di architettura rinascimentale della città. Edificato nel XVI secolo per volere della nobile famiglia Canossa, il palazzo è legato indissolubilmente alla figura di Maddalena, che in quelle stanze visse la sua infanzia e giovinezza, prima della sua conversione profonda al servizio degli ultimi.

L’edificio presenta una facciata sobria ma solenne, con finestre incorniciate in pietra e un cortile interno che respira ancora l’atmosfera aristocratica dell’epoca. All’interno, la Cappella dedicata a Santa Maddalena di Canossa, oggi restaurata, accoglie i visitatori con un silenzio pieno di luce e preghiera. È un luogo intimo, spirituale, dove il passato e il presente si incontrano, testimoniando il cammino di una donna che ha scelto di trasformare i privilegi in dono.

Basilica di San Zeno – Verona
Un capolavoro del romanico europeo, la Basilica di San Zeno affascina per la sua armonia architettonica e per l’atmosfera di serena maestà che vi si respira. Eretta tra l’XI e il XII secolo, sorge sul luogo dove era sepolto San Zeno, vescovo di Verona del IV secolo e amatissimo patrono della città.

La facciata, in tufo e mattoni, è semplice ma ricchissima di dettagli simbolici: il grande rosone centrale, detto la ruota della fortuna, introduce a un mondo dove fede e arte dialogano in modo profondo. All’interno, le tre navate sono sorrette da imponenti colonne e custodiscono affreschi medievali, capitelli scolpiti, e soprattutto il celebre altare maggiore con la pala di Andrea Mantegna, capolavoro del Rinascimento, che raffigura la Madonna in trono circondata da santi.

Scendendo nella cripta, si trova il sepolcro di San Zeno: un luogo di grande spiritualità, semplice e potente, dove il tempo sembra sospendersi.

Il silenzio che grida: la storia di Bakhita

La chiamano “santa africana”, ma per chi l’ascolta col cuore, Bakhita è molto di più: è la voce degli ultimi, il volto trasfigurato della sofferenza redenta. Nata in Sudan, rapita da bambina e venduta più volte come schiava, Giuseppina non ricorda neppure il suo vero nome: “Bakhita” – che in arabo significa fortunata – è il nome che le danno i suoi aguzzini. Un nome crudele, all’apparenza, per chi ha subito frustate, catene e umiliazioni. Eppure, in quel nome si nasconde un mistero.

Quando finalmente giunge in Italia e incontra l’amore libero, disinteressato e dolce delle Canossiane, qualcosa si accende. Impara a chiamare Dio “Padre”, e scopre di essere figlia, amata da sempre. Con semplicità disarmante, perdona chi le ha tolto tutto, e dona tutto sé stessa agli altri. Sceglie la via del servizio umile, quella delle porte aperte e del sorriso silenzioso.

Chi le si avvicina sente pace. Chi la guarda, piange senza sapere perché. Perché in lei si vede il Vangelo incarnato: la forza che nasce dal perdono, la libertà che sboccia nell’amore. Nel Santuario di Schio, davanti alla sua tomba, il cuore si scioglie. Non servono parole. Solo silenzio, e lacrime. Quelle belle, che lavano l’anima e fanno spazio alla speranza.