Bakhita

Bakhita

Bakhita nacque nel 1869 a Olgossa, un villaggio del Sudan, nella regione del Darfur. La sua era una famiglia felice. Era formata, raccontava Bakhita, dai genitori, da tre fratelli e tre sorelle. Un brutto giorno la gioia e la serenità furono turbate dal rapimento della sorella maggiore; poco tempo dopo toccò a lei, bambina di sei – sette anni, la stessa sorte.

Venduta e rivenduta più volte sui mercati di El Obeid e di Khartoum, conobbe le umiliazioni, le sofferenze fisiche e morali della più dura schiavitù. Fu costretta a lunghe marce forzate, picchiata dal figlio di un padrone e lasciata al suolo tramortita, subì la flagellazione di colpi senza numero da parte del generale turco, fu sottoposta a un tatuaggio di ben 114 tagli e alla prova ancor più dolorosa del sale stropicciato sulle ferite … Bakhita affermerà: “Posso proprio dire che non sono morta per un miracolo del Signore che mi destinava a cose migliori”.

Nella capitale del Sudan venne finalmente comprata dall’agente consolare italiano, Calisto Legnani. Situazioni politiche costrinsero il signor Calisto a rientrare in Italia. Bakhita chiese e ottenne di partire con lui e un suo amico, il signor Augusto Michieli.

Prima che la giovane africana lasciasse casa Michieli, il signor Illuminato, il quale desiderava tanto farle conoscere il Signore, le regalò un Crocifisso di metallo. Così Bakhita descrive il suo primo incontro con Colui che diventerà il suo “Paron”: “Nel darmi il Crocifisso lo baciò con devozione, poi mi spiegò che Gesù Cristo, Figlio di Dio, era morto per noi. Io non sapevo che cosa fosse, ma spinta da una forza misteriosa lo nascosi per paura che la signora me lo prendesse. Prima non avevo mai nascosto nulla, perché non ero attaccata a niente”.

Giunta all’Istituto dei Catecumeni, Bakhita chiese e ottenne di conoscere quel Dio che fin da bambina sentiva “in cuore senza sapere chi fosse”. “Vedendo il sole, la luna, le stelle, le bellezze della natura, dicevo tra me: Chi è mai il Padrone di queste belle cose? E provavo una voglia grande di vederlo, di conoscerlo e di prestargli omaggio”. Nel novembre del 1889, quando la signora Michieli ritornò dall’Africa per riprendersi la figlia e Bakhita, quest’ultima, con decisione e coraggio insoliti, manifestò la sua volontà di rimanere con le Suore Canossiane e servire quel Dio che le aveva dato molte prove del suo amore. “Era il Signore che mi infondeva tanta fermezza, perché voleva farmi tutta sua. Oh, bontà!”.

Il 9 gennaio 1890 Bakhita ricevette il Battesimo con i nomi di Giuseppina, Margherita, Fortunata, Maria Bakhita, la Cresima e la prima Comunione. sembrava trasfigurata. Parlava poco, ma la felicità traspariva da ogni suo atto, da ogni suo detto. Non c’era più sul suo viso quell’aria di mestizia. Io le chiedevo che cosa avesse sentito dentro di sé durante la cerimonia.”

Bakhita rimase nel Catecumenato, dove si chiarì in lei la chiamata a farsi religiosa e l’8 dicembre 1896 si consacrò al suo Signore nell’Istituto di santa Maddalena di Canossa. Nel 1902 da Venezia fu trasferita a Schio  dove visse fino alla morte, prestandosi in diverse occupazioni: cuciniera, ricamatrice, sagrestana, portinaia. Si spense l’8 febbraio 1947. Una folla si riversò ben presto nella casa dell’Istituto per vedere un’ultima volta la “santa madre Moretta” e chiederne la protezione dal cielo.

Venne beatificata da papa Giovanni Paolo II il 17 maggio 1992 e consegnata al mondo come “Sorella Universale”, fu proclamata santa il 1° ottobre 2000