Come attuare il messaggio dell’enciclica “Fratelli tutti”?

Come attuare il messaggio dell’enciclica “Fratelli tutti”?

Verso la costruzione della nuova economia dell’amore

di Marco Grumo, PhD, Professore Associato di Management, Università Cattolica del Sacro Cuore

Articolo tratto da VitaPiù n. 13/2021

Davanti agli evidenti e crescenti squilibri dell’economia e della società globale, nella lettera Enciclica “Fratelli Tutti” Papa Francesco richiama il bisogno di una

forma di vita e di economia dal sapore di Vangelo: un’economia dell’amore che vada al di là delle barriere della geografia e dello spazio. Nessuno, può affrontare la vita in modo isolato; c’è bisogno di una società che ci sostenga. L’economia globale unifica il mondo ma divide le persone e le nazioni perché ci rende vicini ma non ci rende fratelli. Siamo più soli che mai in questo mondo massificato che privilegia gli interessi individuali e indebolisce la dimensione comunitaria. Aumentano piuttosto i mercati dove le persone svolgono il ruolo di consumatori e di spettatori.

Ha ragione il Papa! Viviamo in un’economia che premia solo i ricchi, i sani, i forti e i belli (che divengono sempre più ricchi), mentre lascia tutti gli altri nella miseria culturale, economica e sociale. La ricchezza non è uniformemente prodotta nel mondo, ma soprattutto non è ugualmente distribuita. Oggi tutto è basato sullo scambio economicamente interessato. Il fornaio non ci dà il pane perché è generoso, ma perché ci guadagna e se può farcelo pagare di più, molto probabilmente lo farà. Tutti i disastri economici che abbiamo conosciuto, sono sempre stati il frutto di forme di egoismo, opportunismo e di visione a brevissimo termine, permessi peraltro da istituzioni poco lungimiranti ed educanti.
I soliti meccanismi economici volti a sostenere la spesa e gli investimenti per mezzo dell’aumento della produttività e del credito non creano benessere per tutti e nemmeno qualità delle relazioni e delle comunità: lo dimostra anche la semplice cronaca italiana del 25 dicembre 2020, dove si narra di un anziano solo che ha chiamato i carabinieri dicendo che non aveva bisogno di niente, ma non aveva nessuno con cui brindare la notte di Natale. Questa persona aveva un reddito, che non colmava però la sua immensa solitudine.

Ormai è chiaro. Abbiamo schemi culturali e poi operativi che necessitano di un radicale cambiamento. È un problema di qualità delle persone, delle imprese e delle istituzioni. Abbiamo bisogno di un’economia nuova. Un’economia dell’amore. Ma come è possibile costruirla e affermarla?

È una questione anzitutto culturale ed educativa! Per prima cosa essa si costruisce attivando nuovi percorsi di formazione economica (sin dai primi anni della scuola), dove ad esempio le imprese non possono più essere concepite e insegnate come “imprese-titolo” o “imprese –giocattolo”, ma devono essere proposte come “imprese-agenti sociali”. Le imprese infatti sono costituite da uomini, nascono nelle comunità per servire comunità e non possono essere concepite come un titolo che quando sale tengo e quando scende mollo. Le imprese non possono e non devono nemmeno essere concepite come un “giocattolo” dell’imprenditore, tanto che quando piace lo tengo e quando invece mi stufo o non mi piace più lo butto (e cioè chiudo l’impresa o la vendo). E le persone che ci lavorano e le comunità in cui le imprese sono inserite? L’economia attuale è un’economia malata poiché le imprese sono state “mercificate”, il “cortotermismo” (e cioè l’avere tutto subito), ha preso il sopravvento sullo sviluppo di medio-lungo periodo dell’impresa e delle comunità, l’arricchimento personale a tutti i costi e con tutti gli espedienti (inquinamento, evasione fiscale, lavoro nero, sfruttamento delle persone e dei territori) ha preso il sopravvento sullo sviluppo dell’impresa come agente sociale. Non abbiamo bisogno di queste imprese, perché le imprese che ricorrono ad espedienti continui non sono di qualità e nel medio-lungo periodo sono nocive. Non possono esistere imprese di qualità all’interno di comunità sofferenti. Comunità, persone e sviluppo delle imprese sono strettamente connessi.

La formazione economica nuova di cui abbiamo bisogno è certamente una formazione di carattere tecnico ma con forti dosi di una formazione valoriale. Molti strumenti dell’economia dell’amore ci sono già: corporate social responsibility, filantropia d’impresa, agevolazioni fiscali e finanziarie, fondazioni corporate, intermediazione filantropica, cooperazione, enti del terzo settore, impresa sociale, finanza sostenibile, impact investing, imprese business sostenibili, bcorp, fondi di investimento sostenibili, green economy, micro-credito, social impact bonds, obiettivi onu agenda 2030, ritorno sociale d’investimento, principi della dottrina sociale della Chiesa, documenti della Chiesa sulla finanza sostenibile ecc. Ora serve costruire un quadro più ampio, al cui interno realizzare e diffondere progetti d’impresa capaci di creare valore condiviso per tutti.

Abbiamo bisogno di innescare un vero e proprio circolo virtuoso dell’economia dell’amore.

Il circolo virtuoso per lo sviluppo dell’economia dell’amore

Tutto parte dalla contaminazione culturale positiva virale e globale e dalla moltiplicazione delle esperienze d’impresa a livello locale, intensamente comunicate. La sfida più importante è chiaramente quella della rilevanza di questi nuovi comportamenti economici, intesa come sommatoria di infinite esperienze locali. Senza rilevanza, infatti, non ci sarà mai una nuova economia virtuosa per tutti.

Si tratta di una economia che deve essere sostenuta, soprattutto nella sua fase iniziale, sul piano culturale, normativo e finanziario, affinché possa costituire una piccola luce in mezzo agli ingranaggi economici attuali per poi diventare una luce sempre più forte. Essa ha solo bisogno di partire e di dimostrare che costituisce un paradigma veramente positiva per tutti. Non è assolutamente un problema di forme giuridiche. Non è vero che il modello cooperativo è migliore di quello societario oppure le forme del terzo settore sono le migliori in assoluto. Le teorie economiche, infatti, ci hanno sempre dimostrato che esistono i fallimenti del mercato, dello Stato e anche quelli del terzo settore perché l’uomo fallisce. Nel sistema attuale se hai dei redditi adeguati poi comprare tutto, tranne l’amore. In tanti hanno provato a teorizzare forme economiche alternative al modello capitalistico (tra cui anche lo stesso Marx); tutti però hanno ragionato sempre e solo sull’architettura dei sistemi anziché sulla qualità dei progetti e delle relazioni. Oggi invece abbiamo bisogno di qualità e di valori a “360 gradi”, senza i quali nessuna architettura potrà mai veramente funzionare, come di fatto si verifica. Anche lo stesso economista John Maynard Keynes aveva affermato nel 1933 che “il sistema capitalistico non è bello, intelligente, e sicuramente non è giusto, non è virtuoso e non mantiene le promesse; in breve non ci piace e stiamo cominciando a disprezzarlo; ma quando ci chiediamo cosa mettere al suo posto, restiamo estremamente perplessi” (J.M. Keynes, Autosufficienza nazionale, 1931).

Oggi il 20% delle persone possiede tutte le ricchezze del mondo e anche con la pandemia in pochi si sono arricchiti tantissimo e molti si sono impoveriti ancora di più. La sfida è chiaramente ardua, ma vale la pena intraprenderla con un approccio concreto, culturale e perseverante. Occorre promuove e sviluppare nuovi progetti concreti d’impresa (di qualità e virtuosi), basati su valori importanti quali lo sviluppo (anche economico) dell’impresa, l’equilibrio del bilancio, l’attenzione alle persone, l’attenzione alle comunità, il rispetto delle norme e dell’ambiente. Quando infatti si coniugano i valori con un progetto d’impresa di qualità si riduce la povertà, aumenta la solidarietà, le imprese crescono e aumentano le forme di redistribuzione. Al contrario, quando non ci sono valori e progetti di qualità aumentano le contrapposizioni degli interessi, si taglieranno i costi e gli investimenti, si cercheranno scorciatoie egoistiche e dannose per i terzi, si produrranno esternalità negative per molti. Certamente si tratta di progetti d’impresa che all’inizio richiederanno un investimento e che nel breve periodo sicuramente genereranno un minore ritorno economico per i soggetti investitori. Tuttavia se si calcola l’impatto economico e sociale “esterno” generato sulle persone e sulle comunità si scoprirà come tali progetti risulteranno molto positivi.
Per tutti questi motivi, questi progetti d’impresa di qualità (e cioè capaci di creare impatti umani, economici, sociali e ambientali rilevanti e quindi valore condiviso per tutti) devono essere definiti, codificati, tradotti in indicatori e poi via via inseriti nelle norme, nelle agevolazioni fiscali e nei finanziamenti, oltre che insegnati nelle scuole. Poi, se saranno veramente di qualità, saranno anche capaci di autoalimentarsi, senza il bisogno di approcci assistenzialistici (sempre negativi). Non è un problema di forme d’impresa ma di kpi’s da raggiungere (key performance indicators e quindi di indicatori-chiave), i quali possono “atterrare” in qualsiasi paradigma d’impresa: kpi’s di solidità economico-finanziaria, di responsabilità sociale, di responsabilità ambientale, espressivi dell’attivazione di circoli economici e sociali virtuosi, definibili anche a partire dagli indicatori ESG e da quelli dell’agenda dell’Onu 2030.

Si tratta anche di attivare un ampio sistema premiante, dove cioè i finanziamenti e i tassi di interesse, le agevolazioni fiscali, gli appalti, i contributi alla formazione e agli investimenti, dovranno essere direzionati proprio in base ai kpi’s virtuosi di breve e di medio-lungo periodo. Non si tratta però di realizzare un’economia astratta o di “boutique” dove magari un pezzo di cioccolato costa 4 volte il prezzo medio di mercato (perché in questo caso saranno sempre e solo i ricchi a comprarlo e comunque in quantità contenute, generando così una economia bella ma per pochi che non è certamente l’esigenza attuale).
Quando un progetto d’impresa risulterà più equilibrato nei suoi ingranaggi economici, personali e sociali, la costruzione di una società dell’amore e della solidarietà risulterà notevolmente semplificata. La strada è quella giusta, ora bisogna solo far spazio alla luce e poi pian piano fare in modo che essa raggiunga più persone possibili. I paradigmi e i poteri attuali cercheranno sicuramente di ostacolarla, ma facendolo, si scopriranno pian piano anch’essi modificati.

Bisogna solo iniziare formando le menti, e i cuori, facendo sperimentazioni, diffondendo buone pratiche e cultura concreta e positiva, i numeri faranno il resto.