di suor Maria Carla Frison
Articolo tratto da VitaPiù n. 7/2019
Rivivere l’arrivo della nostra sorella Bakhita a Schio è uno scoprire il senso della vita e delle scelte da lei fatte per essere tutta di Dio.
La giovane Bakhita prima di emettere i suoi voti aveva vissuto un incontro con l’allora patriarca di Venezia, il futuro papa Pio X, che le aveva indicata una via di pace e di santità. A lui aveva chiesto che ne sarebbe stato della sua famiglia che non conosceva Gesù perché i missionari non erano ancora giunti al suo villaggio. Guidato dalla sua bontà, Giuseppe Sarto la rassicurò che se in una famiglia c’è chi prega per i propri cari, il Signore sa come raggiungerli con la sua grazia, per lei si trattava, dunque, di affidarne la loro causa al buon Dio e di vivere con gioia la sua chiamata come religiosa.
Non ci è dato di sapere di più di questo incontro ma, ispirato dal Signore, il patriarca di Venezia comprese a quali altezze, profondità e latitudine, la giovane Bakhita si sentisse chiamata. Se fosse tornata in Africa sarebbe ripiombata nella schiavitù “avrei perso sia l’anima che il corpo” confidò ad una consorella. La sua scelta del Battesimo le aveva così precluso il ritorno tra i suoi, l’aveva fatto lasciando andare lontani coloro che pure in Italia aveva imparato ad amare. Il Battesimo la trasfigurò, testimonia chi in quel giorno le fu vicina. Bakhita libera aveva scelto Gesù, innanzitutto, per condividerne la missione di compiere la volontà del Padre, amando come lui stesso, per salvare tutti i suoi fratelli vicini e lontani…per l’eternità!
Richiesta di lasciare Venezia per trasferirsi a Schio, Bakhita uscì con un’espressione degli Esercizi Spirituali che aveva da poco finiti, e si dichiarò pronta a fare la volontà di Dio come suo unico bene.
Eccola, dunque, col cuore nuovamente svincolato da affetti umani, giungere a Schio pronta per qualsiasi aiuto di cui fosse stata capace. Questa, l’offerta di sé stessa fatta fin dalla richiesta iniziale di essere Figlia della Carità Canossiana.
In “Storia Meravigliosa” si legge dello stupore stesso delle sorelle nell’incontrarla, ma queste avevano certamente avuto modo di conoscerla già dal noviziato vissuto allora da quasi tutte a Venezia. La notizia di una canossiana dalla pelle scura incuriosì certamente di più gli scledensi o la gente che affluiva nella casa da un largo circondario essendo l’Istituto Canossiano l’unico luogo di formazione femminile sia umana che religiosa, presente in zona.
L’archivista del Duomo documenta, tuttavia, che Bakhita non fu la primissima persona di diversa etnia giunta a Schio, qualche anno prima una monaca agostiniana era stata registrata come “mora” ovvero scura. Solo che vivendo nella clausura non ebbe occasioni di rapporti quotidiani con la gente, si spense in pochi anni e di lei forse era rimasto il ricordo di una provenienza diversa, tra le religiose locali.
Coloro che incontrarono m. Bakhita nei suoi primi anni di permanenza a Schio la ricordano vicina a loro nel dormitorio, nel cortile, nella sala da pranzo, dove riempiva più volte i loro piatti, spesso ben oltre la capacità della pentola di servire tanti pasti… ed allora si guardavano in viso stupite per quanto stava accadendo! Il servizio a tavola prevedeva una turnazione tra le sorelle, quando m. Bakhita serviva c’erano gli applausi per la gioia di avere m. Moretta vicino ed essere serviti da lei. Questo raccontano i testimoni.
Un tocco delicato ci giunge da due sorelle: Laura la maggiore e Bruna la più piccola, giunte tra noi per la morte prematura della mamma. Abitando di fronte alla casa il papà vegliava su di loro, ci fu il tentativo di fuga della minore ed allora m. Bakhita, per farle vedere al papà passeggiava nell’orto perché il papà le vedesse a loro insaputa ma trattenendole con una stretta di mano affettuosa e – aggiungono le bimbe già anziane – quando sentiva che avevamo fame, ci chiamava vicino alla finestra della cucina, “ci allungava una pagnotta di pane e quanti baci ci mandava!” Quest’ultima memoria dei baci di Bakhita, aggiunta al loro racconto fatto più volte a distanza di anni, ci conferma come la memoria affettiva sia davvero la più duratura.
È bello aggiungere anche che le giovani orfane raccontano essere cambiata la loro situazione con l’arrivo di Bakhita. Ma perché? Al risveglio – probabilmente allora Bakhita vegliava nel loro dormitorio – ricordano il suo tocco: una carezza, che le consolava e le faceva alzare sentendosi amate anche se mamma e papà non c’erano a coccolarle con il loro affetto.
Questi i primi impatti con M. Bakhita, i bisogni più umani di cibo e di affetto, di sicurezza e di presenza vigile che su loro vegliava. Mentre le sue collaboratrici ricordano il suo scusarsi a nome loro, quando la superiora richiamava le aiutanti della cucina per qualche inadempienza, e si sentivano “salvate” dalla sua umiltà!
I bimbi conoscevano solo la cioccolata, le favole raccontavano anche di case di cioccolata, e Bakhita aveva proprio quel colore! C’è ancora chi ricorda di averla leccata per verificarlo, oppure di aver cercato l’acqua per lavarsi pensando di essere stata sporca nel volto per un suo bacio. Bakhita se ne accorgeva, rideva gustosamente, chi le era vicina spiegava che veniva da un paese con tanto sole dove tutti erano abbronzati come lei e che il suo colore non sporcava. Ci fu chi le portò del sapone, e lei pronta a spiegare che tutta l’acqua dell’Adige non avrebbe potuto farla diventare bianca. Vedendo i palmi delle sue mani schiarite, un viaggiatore le chiese da quanto tempo era in Italia. Da quaranta deve aver risposto e, vedendolo sconcertato, aggiunse che tra altrettanti anni anche il dorso della sua mano avrebbe avuto lo stesso colore. A chi di notte incontrandola si spaventava perché era scura, prontamente rispondeva che al buio tutti lo siamo!
La sua vena d’umorismo le veniva spesso in aiuto, pur dicendo spesso di sentirsi come un “bestia rara” di cui non si può fare a meno di accorgersi, e lei, tendenzialmente riservata e poco incline ad esporsi ne soffriva per essere notata a causa della sua apparenza. La sua vita era un segreto d’amore tra lei ed il suo Dio, ma di questo si dirà di più prossimamente.
Lo scorso novembre ci ha visitate a Schio l’arcivescovo di El Obeid Tombe Trille, ha vissuto un giorno di ritiro con Bakhita ed alla sera ha cenato con la comunità, presente anche il parroco don Mariano Ronconi. Gli avevamo riferito quanto condiviso con i vescovi della Conferenza Episcopale del Sudan e Sud Sudan che ci avevano visitate a settembre ed aggiunto che Bakhita aveva lasciato un testamento per il suo popolo affidandolo a m. Teresa Formolo, che l’assistette prima della sua partenza per la missione: “Cerca il mio popolo e dì loro che sono di Dio e consacrata come te!”
Ecco il suo messaggio con cui volle annunciare la sua libertà: Era di Dio, suo sposo, a lui aveva scelto di appartenere quindi non era più schiava, ed era “consacrata come te”: ovvero quando ti vedranno agire come missionaria vedranno ciò che io sono qui dove mi trovo, capiranno che vivo nella famiglia di Dio e che sono madre di chi mi è affidato, perché fragile e povero di affetti!”
Il vescovo ci confidò che in Sudan c’è un monumento dedicato ai missionari che hanno privato della loro vicinanza i genitori e le famiglie di provenienza.
“Bakhita, aggiunse, è stata in mezzo a voi il dono di consolazione per tanto sacrificio vissuto da chi aveva figli, fratelli e amici in missione. In lei avete visto i frutti di santità che possono giungere a voi dalla fede. Bakhita è stata la prima missionaria giunta in mezzo a voi per dirvi il nostro grazie per la fede, per consolarvi dei sacrifici da voi fatti di chi amate e di ogni vostro dono che costruisce la Chiesa, il Regno di Dio che nei santi è già in mezzo a noi!”