“La Parabola dei talenti”. Riflessione nella Festa della Presentazione di Maria al Tempio
di p. Gerard Francisco op
Se guardiamo a noi stessi, con quale servo possiamo onestamente verificarci? Ci identifichiamo con quello che con audacia ha investito il denaro del Re e ha guadagnato 10 volte di più? O con quello che fedelmente ha conservato il denaro del Re e l’ha restituito esattamente come l’aveva ricevuto?
Vi siete radunate qui per preparare il vostro Capitolo Generale, vero? Voi siete le leaders della vostra Congregazione, e io oserei dire che voi, care Sorelle, siete le persone che osano sognare, che fanno avanzare l’Istituto Canossiano; siete persone piene di coraggio, forza e ardore! (E, ovviamente, vi lamentate anche di essere stanche di portare avanti tutte queste buone cose). Siete le Sorelle che rischiano e investono in nuove missioni e ministeri.
San Tommaso D’Aquino diceva:
“Se lo scopo principale di un capitano fosse di preservare la propria nave, la terrebbe ferma nel porto per sempre”.
Ma lo scopo della nave è di salpare sia nel mare calmo che nella tempesta. Non potremmo mai raggiungere nuove destinazioni se rimaniamo al sicuro nel porto.
Ma noi vogliamo essere quei servi della parabola che hanno prodotto dieci o cinque volte più di quello che era stato loro affidato. Se, però, vogliamo essere realisti, sappiamo che gli investimenti possono andare male. Forti guadagni possono venire solo da grossi rischi, e grossi rischi a volte conducono a fallimenti catastrofici. Questo è quello che la parabola non dice. Cosa sarebbe avvenuto se uno dei servi avesse perso tutto quello che gli era stato affidato? In questo caso il servo che aveva tenuto il denaro al sicuro, ma non aveva guadagnato nulla, avrebbe fatto una figura migliore, non è vero?
Allora che cosa ci dice la parabola del Vangelo di oggi? Le parabole sono storie che ci pongono delle sfide. Ovviamente questa parabola ci sfida ad essere audaci e coraggiosi. Ma il coraggio e l’audacia possono condurci a fallimenti catastrofici. Per questo abbiamo bisogno di porre la nostra speranza e la nostra fiducia nel Signore. La fiducia non è ottimismo che nasce da un’attenta considerazione di prospettive future confrontate con le nostre capacità e risorse. La speranza non riguarda il cambiamento del nostro misero presente in un futuro miracoloso. Piuttosto, la speranza è radicata nella certezza che Dio non ci abbandonerà mai. La speranza è mettere le nostre magre risorse nelle mani di Dio. Cinque pani e due pesci nelle nostre mani non possono nutrire migliaia di persone, ma se li mettiamo nelle mani di Gesù, possono sfamare una folla affamata. Gli otri d’acqua non sono che otri, ma quando vengono messi sotto lo sguardo di Gesù (consapevoli di quello sguardo divino) “arrossiscono” (per l’emozione e la timidezza) e l’acqua si cambia in vino rosso!
Perciò, care Sorelle, io prego perché il vostro incontro rinnovi la vostro impegno a far salpare le navi Canossiane. Ci saranno tempeste, ma abbiate coraggio, perché il vero timoniere delle vostre navi non è affatto il migliore tra voi, ma è Colui che può camminare sulle acque e calmare il mare in tempesta. Una delle più belle definizioni della speranza che abbia mai incontrato è quella di S. Caterina da Siena:
“La speranza è il rifiuto radicale di mettere limiti a quello che Dio può fare per noi.”
Quando speriamo, rifiutiamo, nella Fede e nell’Amore, che ci sia un limite a quello che Dio può fare per noi.