di fratel Enzo Biemmi
Dopo avere visto l’orizzonte missionario che Evangelii gaudium propone a tutta la Chiesa, possiamo ora concentrarci su un aspetto importante per la catechesi: il contenuto. Quale “contenuto” siamo chiamati ad annunciare in questo contesto culturale. Possiamo riassumere questo aspetto attorno a due espressioni: primo annuncio, secondo annuncio.
Il primo annuncio
EG, nel suo approccio missionario, invita a ripensare il contenuto dell’annuncio sulla base di tre criteri: l’essenzialità, la gerarchia dell’importanza, la gradualità.
Il kerygma
Prima di tutto il ritorno all’essenziale, che è il kerigma. Papa Francesco si esprime così:
«Abbiamo riscoperto che anche nella catechesi ha un ruolo fondamentale il primo annuncio o “kerygma”, che deve occupare il centro dell’attività evangelizzatrice e di ogni intento di rinnovamento ecclesiale… Sulla bocca del catechista torna sempre a risuonare il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti”». (Evangelii gaudium, 164).
Attraverso una semplicità disarmante, EG riconduce all’essenziale: in un contesto missionario occorre tornare al fondamento della fede, che non è la dottrina, ma un evento testimoniato nel kerygma (per utilizzare una espressione di Giovanni Paolo II: non si tratta di totalità estensiva ma di totalità intensiva).
« Una pastorale in chiave missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere. Quando si assume un obiettivo pastorale e uno stile missionario, che realmente arrivi a tutti senza eccezioni né esclusioni, l’annuncio si concentra sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e allo stesso tempo più necessario. La proposta si semplifica, senza perdere per questo profondità e verità, e così diventa più convincente e radiosa» (Evangelii gaudium 35).
La gerarchia delle verità
Il secondo criterio è quello della “gerarchia delle verità”. EG invita a porre tutti gli “aspetti secondari” (o meglio “secondi”) in stretto legame con il cuore del vangelo, l’essenziale, il kerigma (EG 34-39). Viene indicato un ordine di priorità: l’annuncio dell’amore di Dio precede la richiesta morale; la gioia del dono precede l’impegno della risposta; l’ascolto e la prossimità precedono la parola e la proposta.
«La centralità del kerygma richiede alcune caratteristiche dell’annuncio che oggi sono necessarie in ogni luogo: che esprima l’amore salvifico di Dio previo all’obbligazione morale e religiosa, che non imponga la verità e che faccia appello alla libertà, che possieda qualche nota di gioia, stimolo, vitalità, ed un’armoniosa completezza che non riduca la predicazione a poche dottrine a volte più filosofiche che evangeliche. Questo esige dall’evangelizzatore alcune disposizioni che aiutano ad accogliere meglio l’annuncio: vicinanza, apertura al dialogo, pazienza, accoglienza cordiale che non condanna» (Evangelii gaudium 165).
La gradualità
Il terzo criterio è quello della gradualità. Esso consiste nel riconoscere le “possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno” e ciò “senza sminuire il valore dell’ideale evangelico” (EG 44). Corrisponde a uno dei 4 principi di EG: il tempo è superiore allo spazio.
«Dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi. […] Questo criterio è molto appropriato anche per l’evangelizzazione, che richiede di tener presente l’orizzonte, di adottare i processi possibili e la strada lunga» (GS 225).
La forza di questo terzo criterio viene applicata in tutte le sue conseguenze da Amoris laetitia, che arriverà a dire: «un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà» (AL 305). La finezza di Amoris laetitia sta nell’aver trasformato il principio del “male minore” in quello del “bene possibile”. La prima prospettiva tende a limitare i danni e quindi inibisce ricordandoti il tuo limite e il tuo peccato; la seconda ti fa vedere il bene che già vivi e quello che ti sta davanti, e quindi ti mette le ali, invitandoti a camminare verso un bene sempre più grande, il bene storicamente possibile per te secondo la grazia di Dio. La prima prospettiva “aspira”, la seconda “ispira”. La prospettiva del bene possibile ha l’effetto di essere magnetizzati dal bene che attira e non risucchiati dal male che paralizza. È l’attrazione del bene che motiva, qualunque sia la situazione in cui ci si trova.
L’intervento di questi tre criteri sul contenuto della fede (dottrina e morale) e del suo annuncio fa capire la forza innovatrice dell’approccio missionario sul contenuto stesso, cioè sulla sua dottrina.
Da un sistema chiuso di principi non negoziabili (e codificati in leggi di comportamento) la concezione di missione di EG trasforma il “depositum fidei” in un patrimonio di vita che cresce nel tempo. Proprio in quanto veramente missionario l’approccio di EG è veramente dottrinale, perché non è dottrinale nella fede cristiana se non ciò che è realmente pastorale, che non permette cioè a tutti di essere raggiunti dalla grazia della Pasqua. È la figura di fede custodita dall’affermazione centrale del Simbolo: “per noi e per la nostra salvezza”. L’approccio missionario alla fede, che implica l’assunzione della storia e della vita in tutta la sua complessità, salva la dottrina, le impedisce di diventare una ideologia, le conferisce il suo senso salvifico profondo.
EG assumendo fino in fondo il criterio della missionarietà restituisce a Dio il nome con il quale si è rivelato, il misericordioso. In questo modo riapre la comprensione della dottrina cristiana. Restituisce vita a Dio e carne tenera alla dottrina della Chiesa. E pone così le premesse per una Chiesa che non separi più ciò che Dio ha unito: dogma e storia, dottrina e vita, vangelo e esperienza umana. Con una espressione cara alla catechesi: fedeltà a Dio e all’uomo.
Così si è espresso Papa Francesco rivolgendosi ai vescovi italiani:
«La dottrina cristiana non è un sistema chiuso incapace di generare domande, dubbi, interrogativi, ma è viva, sa inquietare, sa animare. Ha volto non rigido, ha corpo che si muove e si sviluppa, ha carne tenera: la dottrina cristiana si chiama Gesù Cristo» (Discorso di Papa Francesco al Convegno ecclesiale Nazionale di Firenze, 10-11-2015).
Possiamo indicare con precisione il perno sul quale poggia la rivisitazione pastorale del cuore della dottrina cristiana, del suo dogma: sta nell’aver trasformato un attributo di Dio (misericordioso), nel tratto qualificante della sua identità, e quindi nel principio ermeneutico per conoscerne e custodirne il volto e di conseguenza per custodire e interpretare il deposito della fede cristiana.
Il secondo annuncio
Perché parlare di “secondo annuncio” dopo avere chiarito il senso fondamentale di “primo annuncio”? L’espressione è stata introdotta da Giovanni Paolo II nel 1979: «È iniziata – diceva il Papa – una nuova evangelizzazione, quasi si trattasse di un secondo annuncio, anche se in realtà è sempre lo stesso».
Senza trovare il termine, ne ricuperiamo il significato in Evangelii gaudium:
«Tutta la formazione cristiana è prima di tutto l’approfondimento del kerygma che va facendosi carne sempre più e sempre meglio, che mai smette di illuminare l’impegno catechistico, e che permette di comprendere adeguatamente il significato di qualunque tema che si sviluppa nella catechesi» (Evangelii gaudium, 164-165).
Il secondo annuncio può essere definito come il “farsi carne” del primo annuncio nei passaggi di vita fondamentali delle persone, degli adulti in particolare. Lo possiamo allora chiamare il secondo “primo annuncio”. La maggioranza dei cattolici ha ricevuto un “primo annuncio”, ha avuto un contatto con la fede cristiana ricevendola in qualche modo come eredità. Il “secondo annuncio” è il risuonare del primo annuncio come parola di benedizione dentro le traversate della vita umana. È il suo diventare “vero”, il suo prendere forma e carne negli snodi fondamentali della vita: è “secondo” perché appare di nuovo come una grazia che si offre, e quindi di nuovo come appello alla libertà perché si disponga.
Questo possibile ridisporsi è non raramente per molte persone un primo disporsi veramente: il passaggio da una fede per sentito dire a una fede per affidamento personale. Ciò che è annunciato come promessa, si attua come proposta di vita buona dentro le differenti traversate della vita umana. È analogo a quanto accade a Israele: il suo primo esodo diventa secondo primo esodo in tutte le traversate decisive della sua storia, e quindi un ritorno genetico sulle rive del Mar Rosso. Questo vale anche, ad esempio, per un “sì” pronunciato nel matrimonio o nella scelta di una vita consacrata a Dio. C’è sempre un primo sì fondativo, ma spesso quello decisivo è il secondo. Per questo lo possiamo anche chiamare il secondo primo annuncio. Il secondo primo annuncio è la sfida più importante della catechesi rivolta a persone già sociologicamente cristiane. Ma è anche decisivo per chi si affaccia alla fede per la prima volta, perché il dono di Dio e la sua accoglienza prendono forma lungo tutto l’arco dell’esistenza umana.
L’importanza del “secondo”
La nozione di “secondo” non è alternativa all’espressione “primo annuncio”. Al contrario, essa è al suo servizio e permette di evidenziarne meglio il compito specifico. Ci sono almeno tre ragioni che motivano la scelta di connotare l’annuncio come “secondo”.
C’è prima di tutto una ragione culturale. La fine in Europa di una lunga epoca nella quale l’adesione alla fede cristiana era il risultato di una conformità sociale chiede un lavoro complesso di nuova inculturazione del cristianesimo, dentro una società non più sociologicamente cristiana e connotata dalla biodiversità, come si è detto sopra. Se questo è particolarmente evidente per i paesi di antica cristianità, vale ormai per tutti i continenti, divenuti un grande villaggio globale. Il Vangelo va riscoperto dalla comunità ecclesiale e fatto risuonare come culturalmente abitabile. Ci troviamo di fronte a una situazione culturale “seconda”.
C’è poi una ragione insita all’accoglienza stessa della fede, la quale non avviene una volta per tutte: a più riprese la fede va rifatta propria, e quindi nuovamente annunciata e ascoltata. Questo vale sia per la comunità cristiana che per ogni credente. La fede domanda una adesione “seconda”, una conversione “seconda”, una alleanza “seconda”.
C’è infine una ragione teologica, legata cioè al Dio stesso di Gesù Cristo, al dono sempre eccedente del suo Spirito, all’imprevedibile della grazia, al sempre inedito venirci incontro di Dio, alle sue sorprese mai esaurite. Egli non ha mai detto la sua ultima parola di grazia nei nostri confronti. La sua “prima” venuta nel Figlio fatto umano è sempre seguita dal suo ritorno, dalla sua “seconda venuta”, che noi attendiamo fino al suo manifestarsi definitivo.
I tempi opportuni del secondo annuncio
Quando è che Dio passa “la seconda volta” dentro una vita? Quando si fa presente con le sue “seconde” visite? Il tempo opportuno (kairòs) dei passaggi di Dio nella vita di tante persone sono le “crepe” che si aprono dentro le esperienze umane, quelle che come adulti e adulte viviamo nell’arco della nostra vita. Non è in genere nei periodi di stabilità (culturale, affettiva, economica, fisica…) che Dio si fa sentire in noi, ma quando gli equilibri raggiunti vengono sconvolti. A queste rotture noi diamo il nome di “crisi”, intese come l’intervenire di una discontinuità nella nostra vita, una discontinuità per eccesso o per difetto. Per eccesso: l’apparire di un di più gratis che sorprende (come un amore che si affaccia improvviso, un figlio che nasce, una causa che appassiona, una cosa bella che sorprende). Per difetto: l’affacciarsi di una minaccia di morte (una perdita, un terremoto fisico e psichico, una situazione di solitudine, la mancanza di lavoro, una ferita, un fallimento, una malattia, un lutto).
Le sorprese sono delle possibili aperture, le ferite possono diventare feritoie. In questi passaggi ritorna in noi la domanda sul senso della nostra vita, sulla sua origine e sul suo destino. Esse ci rimettono in gioco nella nostra identità profonda, quando ci sentiamo donati a noi stessi (ogni sorpresa bella ci dice la gratuità della vita) o minacciati nel nostro esistere. Queste situazioni fanno salire in noi l’esigenza di un rendimento di grazie o di una invocazione di aiuto: sentiamo il bisogno di dire grazie, sentiamo la necessità di invocare e chiedere aiuto.
Proprio perché determinanti nel processo di maturazione della vita adulta, proprio perché in gioco c’è la questione del senso, le crisi degli adulti (sia quelle per difetto, sia quelle per eccesso), sono possibili “soglie di accesso alla fede”, primo o secondo che sia. Questo perché dentro queste esperienze ci viene incontro il mistero umano nelle sue due facce, rispetto al quale non si può fingere: quello della vita e quello della morte. In ognuno di questi passaggi fondamentali è dunque in gioco un’esperienza pasquale. Sono delle pasque antropologiche: vale per un innamoramento, la nascita di un figlio, una crisi affettiva, una malattia, un lutto, la mancanza o perdita del lavoro ecc. Perché da ‘soglie’ queste esperienze possano diventare ‘acconsentimento’ e professione di fede ci vuole, è evidente, che dentro il processo umano di introspezione si offra una “rivelazione” e accada uno “svelamento”, vale a dire la testimonianza di qualcuno che aiuti a far cogliere una “Presenza a favore” in quello che succede. È a quel punto che l’esperienza di crisi per difetto può diventare preghiera di invocazione e l’esperienza di crisi per eccesso può diventare rendimento di grazie e lode.
I salmi, nelle loro varie armonie, si offrono a noi come espressione qualificata di questi due movimenti: invocazione e gratitudine. Il risuonare di una parola di benedizione dentro le situazioni di transizione nella vita può divenire così per molti una vera esperienza di primo o secondo annuncio. Ritorna allora nuovamente decisiva la parola che Paolo con particolare lucidità ed efficacia continua a ripeterci: «Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato. Ora, come potranno invocarlo senza aver prima creduto in lui? E come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi?» (Rom 10,13-14). Questa parola di Paolo invita la comunità cristiana a riaprire il tempo del primo e del secondo primo annuncio. È decisivo che, nei momenti di scombussolamento positivo o negativo delle persone, risuoni una parola di Vangelo. Solo così i passaggi silenziosi di Dio potranno essere scoperti come benedizione e promessa.
La vita dell’uomo alfabeto di Dio
Il secondo annuncio riconosce che la vita dell’uomo è alfabeto di Dio. Riconosce che ogni storia umana è terreno sacro, nel quale camminare in punta di piedi, togliendosi i calzari. Su questo terreno, che è l’umano, si sospende ogni giudizio, ogni valutazione. Ogni storia umana è storia sacra e non c’è storia sacra perfettamente lineare, senza sbagli, senza fragilità, senza dolore. La sacralità della vita viene dalla sua vulnerabilità. Abitare e accompagnare la storia delle donne e degli uomini è il più grande atto di amore. È anche il modo più bello, forse l’unico, per annunciare il Vangelo, per mostrare a tutti il dono di vita buona che esso contiene.
La Chiesa, concentrata spesso sul solo piano oggettivo della fede, ha bisogno di questo trasloco nella storia che Dio scrive dentro la carne delle donne e degli uomini di oggi. Allora capirà anche diversamente e più in profondità l’aspetto oggettivo della Rivelazione.
Il Sinodo sulla famiglia ha ripreso nel documento finale le parole di Papa Francesco, applicandole alla famiglia:
«La Chiesa dovrà iniziare i suoi membri – sacerdoti, religiosi e laici – a questa “arte dell’accompagnamento”, perché tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro (cf. Es 3,5). Dobbiamo dare al nostro cammino il ritmo salutare della prossimità, con uno sguardo rispettoso e pieno di compassione ma che nel medesimo tempo sani, liberi e incoraggi a maturare nella vita cristiana» (EG, 169).
Il secondo primo annuncio si impegna su questa strada.