di fratel Enzo Biemmi
«Oggi non viviamo un’epoca di cambiamenti, ma un cambiamento di epoca»
(Papa Francesco)
Il carisma di Maddalena di Canossa è nato in un’area geografica precisa (Europa) e in un contesto culturale chiaramente connotato (una società che si riconosceva ancora nella religione cristiana, anche se c’erano già i primi segni di allontanamento). L’insieme di queste due caratteristiche può essere così sintetizzato: è un carisma nato in un’Europa di cristianità. L’idea di missione propria del carisma delle origini era naturalmente caratterizzata da questo contesto geografico e culturale.
Se vogliamo interrogarci sulla missione del vostro carisma oggi dobbiamo prendere atto di due cambiamenti:
- un cambiamento geografico, che non solo va oltre l’Europa, ma che rischia di sparire (o di diventare fortemente minoritario) proprio in Europa, dove è nato;
- un cambiamento culturale che segna una distanza abissale rispetto alle origini.
La fedeltà al carisma non è semplice ripetizione. La semplice ripetizione delle forme storiche di un carisma porta al suo spegnimento quando le situazioni culturali e geografiche cambiano. La fedeltà al vostro carisma missionario esige memoria, discernimento, creatività e coraggio decisionale.
In questi giorni che sono con voi cercherò di accompagnarvi in questo difficile discernimento. Non pretendiamo di trovare soluzioni definitive, ma di cogliere meglio le sfide che ci sono affidate dal Signore e dalla Chiesa, in modo particolare da papa Francesco.
Come vedete dal programma faremo quattro tappe:
1. Parleremo del cambiamento di paradigma pastorale, incominciando dalla situazione europea.
2. Ascolteremo la visione di missione che papa Francesco affida alla Chiesa nel suo testo fondamentale, Evangelii gaudium.
3. Ci interrogheremo sulla figura di fede che abbiamo vissuto e che inconsapevolmente trasmettiamo nella nostra missione, per prendere coscienza che forse è giunto il tempo di una nostra conversione profonda.
4.Ci daremo una piccola grammatica spirituale della missione.
Ad ogni passo che faremo ci saranno momenti di confronto e di dialogo tra di voi e con me.
Per comprendere meglio la situazione che stiamo vivendo in Europa, dove è nato il carisma, possiamo utilizzare un termine condiviso nella riflessione catechetica: cambio di paradigma dell’evangelizzazione e più generalmente di paradigma pastorale. Proviamo, per comprendere meglio, a guardare più da vicino la situazione europea attuale.
1. Il cambio di paradigma pastorale
Come vi dicevo, se vogliamo essere fedeli alla missione dobbiamo oggi prendere atto dello scarto profondo che si è operato tra l’origine del vostro carisma e il contesto culturale attuale. Una frase di Papa Francesco appare illuminante:
Si può dire che oggi non viviamo un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca. Le situazioni che viviamo oggi pongono dunque sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere. Questo nostro tempo richiede di vivere i problemi come sfide e non come ostacoli: il Signore è attivo e all’opera nel mondo. Voi, dunque, uscite per le strade e andate ai crocicchi: tutti quelli che troverete, chiamateli, nessuno escluso (cfr Mt 22,9). Soprattutto accompagnate chi è rimasto al bordo della strada, «zoppi, storpi, ciechi, sordi» (Mt 15,30). Dovunque voi siate, non costruite mai muri né frontiere, ma piazze e ospedali da campo.
[Incontro con i Rappresentanti del V Convegno Nazionale della Chiesa Italiana, Discorso del Santo Padre Cattedrale di Santa Maria del Fiore, Firenze, 10 novembre 2015].
Guardiamo prima di tutto come questo cambiamento interessa l’Europa, luogo geografico di origine del vostro carisma. Alla luce di questo sguardo europeo vi inviterò poi a riflettere sulla situazione nel contesto geografico e culturale in cui vi trovate.
Vi propongo di fare un esercizio di “disincanto”. Guardiamo come era il cristianesimo in Europa prima del 1960 (data di inizio del Concilio Vaticano II), come sarà dopo il 2060 e come è attualmente nel 2018. Per fare questo esercizio non occorre essere profeti: basta semplicemente aprire gli occhi.
A. Come eravamo prima del 1960?
– Eravamo in un contesto di cristianesimo e di fede che possiamo definire “sociologico”. Si era cristiani semplicemente perché si era europei. Venivamo fatti cristiani da bambini, per osmosi con il nostro ambiente familiare e sociale. La famiglia, la scuola e il paese erano i nostri tre grembi generatori: eravamo generati alla vita e alla fede, senza scissione. Assimilavamo la fede con il latte della mamma. Era una forma di “catecumenato sociologico”, secondo la felice espressione di Joseph Colomb.
– La parrocchia e la sua pastorale erano di “conservazione”: la parrocchia della “cura animarum”. Tutta la proposta pastorale era in funzione di nutrire e sostenere la fede di persone già sociologicamente credenti.
– Al centro della pastorale di questo tipo di parrocchia c’era quella che oggi chiamiamo ‘iniziazione cristiana’. Questa forma di iniziazione, rispetto al modello catecumenale dei primi secoli, era molto semplificata: era rivolta ai bambini e aveva come finalità non tanto di iniziarli alla vita cristiana (a questo pensava la famiglia e il contesto culturale) ma di prepararli a ricevere bene i sacramenti che mancavano loro: la prima confessione, la prima comunione e la cresima. Questo compito era delegato agli addetti ai lavori: i catechisti, o meglio nella maggior parte dei casi le catechiste. Appare evidente che questo dispositivo di iniziazione cristiana era doppiamente semplificato rispetto al catecumenato antico: rivolto ai bambini e non più agli adulti; finalizzato a prepararli a ricevere i sacramenti e non a farli diventare cristiani attraverso i sacramenti.
– In questo modello di iniziazione semplificato la catechesi era un’attività a sua volta molto semplice: il “catechismo”. Un’ora settimanale di scuola, con una maestra, un libro, una classe, un metodo (domanda e risposta) e l’obbligo di frequenza: il catechismo della dottrina cristiana. In molte regioni europee l’espressione “andare a dottrina” voleva dire andare al catechismo.
Non possiamo non rimanere ammirati di fronte a questo quadro: era un modello di presenza nel mondo che la Chiesa aveva elaborato con semplicità ed efficacia e questo modello ha permesso a moltissime generazioni di uomini e donne dei nostri paesi occidentali di vivere la fede.
B. Come saremo dopo il 2060?
Anche questo esercizio è abbastanza facile.
– Avremo un cristianesimo per scelta, di conseguenza avremo un cristianesimo di minoranza. Si giungerà alla fede per conversione e per convinzione. Al centro della cultura attuale occidentale, infatti, non c’è più la fede, ma la libertà religiosa. Ritorneremo dunque a vivere una situazione simile a quella dei cristiani dei primi secoli. Tertulliano diceva: “Non si nasce cristiani, si diventa”. Dal quinto secolo in poi, con la cristianizzazione dell’impero romano (Costantino, Teodosio) la situazione si è capovolta: “Si nasce cristiani e non si può non esserlo”. Siamo ora in una situazione diversa: “Non si nasce più cristiani, si può diventarlo, ma non è più sentito come necessario per vivere umanamente bene la propria vita”. La fede è ora una possibilità tra tante per affrontare l’avventura umana, personale e sociale.
– Come saranno le nostre comunità cristiane? Saranno piccole comunità, fondate più sulle relazioni che sulle strutture e l’organizzazione. La pastorale sarà di proposta, non di conservazione. In ambito francofono si parla di “engendrement” (generatività) e non più di “encadrement” (inquadramento).
– In queste comunità verrà messo in atto per chi lo chiede un processo di iniziazione cristiana destinato agli adulti e a tutta la famiglia (i figli con i loro genitori). Questo processo avrà la forma di un tirocinio: un’immersione nella vita comunitaria, scandito dalle tappe sacramentali, accompagnato da tutor come avveniva nei primi secoli. Questo accompagnamento non potrà più essere delegato alla sola persona del catechista. Sarà la comunità il grembo generativo della fede.
– E come sarà la catechesi dentro questo processo di iniziazione alla vita cristiana? Sarà una catechesi che avrà le caratteristiche del primo annuncio e della mistagogia, cioè dell’annuncio del kerigma e dell’approfondimento progressivo del dono della fede a cui si è aderito. Ritorneremo su questo punto specifico della catechesi tra breve.
C. Come siamo ora, nel 2018?
– Siamo in una situazione di cristianesimo e di fede che possiamo definire “mista”. Abbiamo ancora la permanenza in alcune persone di abitudini religiose e della richiesta di gesti e riti cristiani (battesimi, prime comunioni, cresime). I matrimoni in Chiesa sono già ormai fortemente minoritari. Nella diocesi di Verona, dove è nato il vostro carisma, le convivenze e i matrimoni civili sono ormai più del 50% e le coppie “irregolari” secondo la Chiesa (convivenze, matrimoni civili e seconde unioni dopo il divorzio) sono il 75% (3 coppie su 4 sono “irregolari”). In questa situazione di mezzo c’è già la compresenza di due gruppi: molti/pochi. Un numero ancora relativamente alto si dice anagraficamente cattolico e compie alcuni gesti religiosi (60% in Italia), altri (pochi) sono passati o stanno passando a una fede più personale e consapevole.
È un cristianesimo con un piede nella prima colonna dello schema e con l’altro piede nella terza colonna.
– La parrocchia e la sua pastorale vivono di conseguenza una situazione di “transizione”. Si può anche usare la parola italiana “smaltimento”, parola forte, ma che esprime bene quello che sta accadendo. Tutto l’impegno pastorale che stiamo mettendo in atto è proprio quello di prendere per mano le persone che vengono dalla prima colonna e di accompagnarle verso la terza: da una fede di convenzione a una fede di convinzione. Le proposte pastorali, le omelie, le iniziative parrocchiali hanno tutte questa finalità. In questo lavoro avvengono delle inevitabili perdite: avviene cioè lo ‘smaltimento’ progressivo di chi è cattolico solo per anagrafe. Ma ci sono ancora vescovi, parroci e catechisti che moltiplicano i loro sforzi pastorali per riportare le cose come erano prima del 1960. Si tratta, in questo caso, di una generosità pastorale mal orientata, che può condurre solo alla delusione e alla frustrazione. Il mondo che abbiamo alle spalle non ci sarà mai più.
– Che tipo di iniziazione cristiana stiamo mettendo in atto? Nella Chiesa italiana da circa 20 anni abbiamo avviato in alcune diocesi un vero rinnovamento del processo tradizionale di iniziazione cristiana, basato sul ricupero dell’ispirazione catecumenale. Tutto quello che però riusciamo a fare è di proporre una socializzazione religiosa dei ragazzi associando alcuni dei loro genitori (pochi), quei genitori cioè che accettano liberamente di rimettersi in cammino.
Va notato che si tratta già di un passo in avanti importante: passiamo da un’iniziazione cristiana intesa come semplice preparazione ai sacramenti, a una iniziazione che fa incontrare i ragazzi con la comunità cristiana (li socializza alla vita della Chiesa) e riavvicina alcuni genitori, molti dei quali avevano da tempo perso ogni contatto con la Chiesa.
– E la catechesi?
La catechesi sta diventando nella maggior parte dei casi un “secondo annuncio”: un annuncio cioè per persone già cristiane che fa loro riscoprire la fede come una questione che riguarda la loro vita (per la vita cristiana) e che quindi risuona in loro come un secondo annuncio. Ritorneremo sul senso delle espressioni “primo” e “secondo” annuncio.
È da notare la sequenza dello schema per quanto riguarda la catechesi: dalla dottrina, alla catechesi per la vita cristiana, al primo annuncio.
Per completare questo schema aggiungiamo ora in cima alle tre colonne le parole che connotano i tre differenti contesti culturali: la prima forma di cristianesimo si colloca dentro un contesto di monocultura, la terza in un contesto di biodiversità culturale, la seconda in un contesto di rimpasto culturale. Per ‘rimpasto culturale” (come quando si fa la pasta del pane o di un dolce) intendiamo un periodo di disequilibrio del contesto precedente, di mescolanza di culture, di faticosa ricerca di equilibri nuovi.
Siamo proprio a metà del guado. Per utilizzare un termine dell’esperienza del parto possiamo dire che “si sono rotte le acque”.
La scelta di questa espressione (‘si sono rotte le acque’) è già una valutazione: interpreta il disequilibrio attuale come un processo non che conduce alla morte ma verso una vita nuova. Non è la fine del mondo, quindi, ma di un certo mondo; non è la fine del cristianesimo ma di un certo cristianesimo; non è la fine della fede ma di una certa figura di fede. Non è la fine della catechesi, ma sicuramente la fine del modello “catechismo”.
Dentro questo modo di interpretare il cambio d’epoca in corso, il cristianesimo che ci sta davanti non appare peggiore di quello che ci sta alle spalle. Come si fa a rimpiangere un cristianesimo dell’obbligo e dell’abitudine e non gioire per un cristianesimo della grazia e della libertà?
L’esercizio di “disincanto” appena fatto non porta al pessimismo e tanto meno alla depressione. Diventa invece uno stimolo al “reincanto” e alla passione pastorale.
È preziosa, a questo proposito, una parola di Evangelii gaudium:
Il contesto dell’impero romano non era favorevole all’annuncio del vangelo, né alla lotta per la giustizia, né alla difesa della dignità umana. […]. Dunque, non diciamo che oggi è più difficile; è diverso. Impariamo piuttosto dai santi che ci hanno preceduto ed hanno affrontato le difficoltà proprie della loro epoca.
(EG 263)
Oggi non è più difficile: è, semplicemente, diverso.
2. La geografia europea della fede
Per completare il nostro sguardo possiamo ora guardare più da vicino quanto sta accadendo in Europa, un tempo cristiana, rispetto alla fede. Possiamo intravedere quattro aree geografiche del cristianesimo in Europa, che delineano una mappa diversificata rispetto alla fede e quindi richiedono attenzioni diverse per l’evangelizzazione.
A. L’area di “extraculturazione” o rottura
La prima area è quella interessata a una vera e propria “extraculturazione della fede” (“exculturation de la foi”, espulsione della fede dalla cultura), secondo la nota espressione della sociologa francese Danielle Hervieu-Léger. Questa area interessa più visibilmente la Francia, il Belgio e i Paesi Bassi, paesi nei quali il cattolicesimo sembra non fare più parte dell’universo culturale. La sociologa francese così si esprime: «Nel momento attuale la Chiesa ha smesso di costituire, in Francia, il riferimento implicito e la matrice del nostro paesaggio globale. (…) Nel tempo della postmodernità la società, “uscita dalla religione”, elimina perfino le tracce che questa ha lasciato nella cultura». Si tratta, per questa parte di Europa, di una vera e propria rottura della trasmissione della fede: una rottura, che si consuma tra e resistenza e amnesia. Infatti, a un tempo di ostilità aperta contro la Chiesa è ora subentrato un tempo di perdita di ogni traccia di cristianesimo.
B. Il permanere della tradizione cristiana o di parziale continuità sociologica
C’è però una seconda area, da non sottovalutare: essa riguarda una situazione culturale che conserva ancora larghe tracce di tradizione cristiana, anche se già segnate da un processo di secolarizzazione importante. L’Italia rappresenta in qualche modo questa area europea, che tocca soprattutto il sud dell’Europa, e in particolare, oltre all’Italia, paesi come la Spagna e il Portogallo, alcuni paesi dell’Est vicini all’Italia. La Polonia presenta una configurazione simile.
Questa area è caratterizzata da un processo di secolarizzazione delle mentalità, ma non tale da soppiantare le tracce dei riferimenti cristiani. Questa permanenza della memoria cristiana e delle sue manifestazioni sembra resistere a ogni tentativo di riduzione. Essa costituisce certamente una risorsa per l’annuncio del Vangelo, ma pone diversi problemi all’evangelizzazione. Come evangelizzare una religiosità per tradizione?
C. La clandestinità della fede o di continuità individuale e rituale
Possiamo individuare una terza area rispetto alla fede. Riguarda i paesi dell’Est che hanno subito la dominazione della vecchia Unione Sovietica. Luiza Ciupa, parlando dell’Ucraina, afferma: «L’Ucraina ha vissuto tra la seconda guerra mondiale e la caduta dell’URSS (1946-1989) una fase storica del tutto particolare. Questo tempo “lungo” è segnato dall’accanimento delle persecuzioni, dalla spietata distruzione dei valori morali cristiani, dallo spettro dello sdoppiamento della personalità, dalla affermata e vissuta negazione dell’esistenza di Dio. Tutto ciò era programmato sin nei minimi dettagli… Il difensore eroico della fede cristiana in Ucraina è stata la generazione più anziana: le nonne e i nonni, le mamme e i papà, i quali nelle situazioni più difficili degli anni delle persecuzioni trasmettevano la viva fede a figli e nipoti, educavano all’amore per la loro Chiesa e il loro popolo».
La fede cristiana è stata custodita, in questi paesi di dominazione sovietica, in un clima di clandestinità. La caduta del muro di Berlino e della Repubblica Sovietica (1989) segnano il ritorno pubblico della fede cristiana nei paesi dell’Est. Ma il lungo tempo di clandestinità porta a continuare a vivere una fede piuttosto privata, fondamentalmente cultuale, con scarsa incidenza nella vita pubblica. In particolare va notato che, in questi paesi, la catechesi non ha praticamente avuto alcun sviluppo dopo il 1990, come testimoniano i manuali utilizzati, gli stessi, in gran parte, del periodo precedente.
D. La “areligiosità pacifica” o assenza “positiva” di qualunque fede
Va infine segnalata come eccezione significativa tra i paesi dell’Est la condizione della Germania orientale. Essa presenta una specificità unica in Europa per quanto riguarda il rapporto con la fede. Ufficialmente in questo paese c’è il 4/% di cattolici e il 21/% di protestanti. Il resto della popolazione (il 75% circa) è semplicemente e serenamente areligioso. Si tratta di una non religiosità sentita come normale e che non sorprende nessuno: una areligiosità pacifica. Guido Erbrich afferma: “Se qualcuno in Germania dell’Est pone la domanda: “Lei crede in Dio?», si sentirà rispondere: «No, sono completamente normale». Il filosofo e prete Heberhard Tiefensee, di Erfurt, parla di contesto areligioso stabile, eccezionalmente resistente a ogni sforzo di missione, e invita a guardarsi bene dall’insinuare che “l’homo areligiosus” della Germania orientale sia per questo meno attento e sensibile ai valori umani dell’ “homo religiosus” della Baviera o della Polonia o del resto dell’Europa: su questo aspetto, la situazione in Germania orientale è uguale, e per certi versi migliore, di quella della Germania occidentale, ancora fortemente strutturata dal cristianesimo. «Sia nel campo dei valori che nelle questioni relative al senso della vita, la Germania Orientale si è rivelata sorprendentemente costante e resistente alle crisi e al contempo ferma nella sua a-religiosità».
Siamo di fronte ad una “terza confessione di individui senza confessione religiosa”. Ritroviamo una situazione analoga anche in Svezia e nella Repubblica Ceca.
– Per sintetizzare le quattro situazioni sopra elencate possiamo parlare di “rottura” con il cristianesimo nel primo caso; di parziale continuità sociologica nel secondo; di continuità individuale e rituale nel terzo; di indifferenza serena nel quarto. Ognuna di queste situazioni, è ovvio, pone alla missione delle sfide diverse.
Ho proposto più volte ai catechisti italiani il seguente esercizio: “Quale di queste aree è presente nel territorio della vostra parrocchia?”. Mi hanno sempre risposto: tutte e quattro le aree. E hanno aggiunto: “Queste 4 aree sono presenti anche nella mia famiglia”. E qualcuno ha detto: “Devo riconoscere che anche in me ci sono queste quattro aree, come quattro strati di me stesso”.
Siamo ormai tutti in una cultura globale, tutti al tempo stesso un po’ arrabbiati con la Chiesa, un po’ connotati da una religiosità di tradizione, un po’ caratterizzati da una fede privata e rituale, e anche un po’ “serenamente non religiosi”, in quanto molti aspetti della nostra vita li viviamo senza riferimenti al vangelo. L’Europa è in ognuno di noi.
Ai catechisti ho poi aggiunto questa domanda: “Secondo voi, quale di queste aree è la più favorevole ad accogliere l’annuncio del vangelo?”.
Provate a indovinare quello che mi hanno risposto.
Quale la conclusione di questa nostra analisi?
Possiamo ora comprendere come sia necessario rivedere diversamente il concetto di missione rispetto al passato da cui veniamo.
L’affermazione “l’Europa è un paese di missione” non è una teoria, è la realtà. L’Europa un tempo missionaria è oggi terra di missione. Anche congregazioni religiose nate esclusivamente per la missione “ad extra” (i Comboniani, per es.) lo hanno compreso.
Il nostro secondo passo consisterà nell’ascoltare cosa ci dice Papa Francesco, dopo averci detto che non siamo in un’epoca di cambiamento, ma in un cambiamento di epoca.
Cosa ci dice papa Francesco della missione della Chiesa oggi?